Novembre in giardino
- Stefano Di Lazzaro

- 1 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Novembre è il mese che più di ogni altro si lascia andare, avvolto nel suo mantello scuro e umido, avanzando silenziosamente con il suo carico di miti legati alla morte, alla decomposizione e al decadimento.
L’Oltretomba si avvicina alla nostra realtà, al punto che sembra quasi possibile sfiorarlo con un dito. L’autunno, nel nostro immaginario, porta con sé un senso di malinconia e tristezza, amplificato dall’allungarsi delle ombre e dalla crescente oscurità, evocando il regno dei morti.

Eppure, pochi riflettono su come questo periodo non rappresenti solo una fine, ma anche un principio: ciò che muore ritorna alla terra e da essa rinasce, in un ciclo continuo di trasformazione. Fiori, piante e alberi incarnano perfettamente questo incessante rinnovamento, testimoni silenziosi di un’esistenza che non si esaurisce mai, ma si rigenera senza fine. È per questo che l’umanità ha sempre visto nelle piante un ponte tra il mondo visibile e l’aldilà, un tramite tra i vivi e i morti. L’albero, con la sua chioma protesa verso il cielo e le radici immerse nel sottosuolo, unisce simbolicamente la dimensione terrena a quella oscura e nascosta, per poi slanciarsi nuovamente verso l’alto, seguendo il ritmo immutabile del cosmo.
Nel giardino, la morte non è mai assente, ma è parte integrante della sua stessa esistenza: esso si nutre della fine con rispetto e riconoscenza, consapevole che ogni chiusura è il preludio a una nuova fioritura.
L’uomo, nel suo desiderio di dare eternità all’inspiegabile, ha dato vita ad alcune delle più suggestive narrazioni mitologiche, dove la morte non è una perdita definitiva, bensì un passaggio verso un’altra forma di esistenza, spesso sublimata nella natura stessa. Le metamorfosi non sono che il tributo alle passioni, alle sofferenze e alle vicende umane, fissandole in una dimensione eterna.
Così Mirra, consumata da un amore proibito per il padre, si trasformò nell’albero omonimo, dal quale stilla una resina preziosa, simbolo delle lacrime versate e successivamente divenuta emblema della sofferenza e della redenzione.

Dafne, pur di sfuggire alla passione travolgente di Apollo, trovò rifugio nelle sembianze di un albero d’alloro, ricevendo in cambio l’immortalità nel profumo delle sue foglie. Giacinto, strappato accidentalmente alla vita dallo stesso Apollo, rinasce nel fiore che porta il suo nome, il cui colore porpora richiama il sangue versato.
E come dimenticare Narciso? Vittima del proprio riflesso, si perse in un’estasi autodistruttiva, trasformandosi nel delicato fiore che porta il suo nome, inchinato in un eterno abbraccio con la propria immagine.
Ma tra tutti, il cipresso rimane il simbolo funebre per eccellenza. La leggenda racconta di Ciparisso, il giovane che, inavvertitamente, uccise l’amato cervo dalle corna d’oro. Straziato dal dolore, ottenne da Apollo il dono di piangere in eterno, trasformandosi nell’albero dalla chioma scura e svettante verso il cielo. Il dio, colpito dal suo tormento, pronunciò le celebri parole: “Da noi pianto sarai e gli altri piangerai a chi soffre vicino” – [Metamorfosi, X].

L’eterna oscillazione tra morte e rinascita è ben rappresentata dal mito di Persefone, divisa tra due mondi: quello della madre Demetra e quello del marito Ade. Il suo destino fu segnato dal frutto del melograno, il cui succo vermiglio simboleggia tanto la fertilità quanto il legame con l’Oltretomba. Così, nei mesi freddi, Persefone dimora nel regno dei morti, ma con il ritorno della primavera risale alla luce, portando nuova vita alla terra.
Tutto è trasformazione, nulla si estingue definitivamente. La morte non è una fine, ma un passaggio, un movimento perpetuo che rigenera se stesso. Da sempre, miti e credenze si intrecciano con la realtà botanica, dipingendo l’aldilà come un giardino, il luogo più adatto per accogliere la memoria dei defunti. Non a caso, il fiore, con la sua varietà di forme e colori, è divenuto il mezzo privilegiato per rendere omaggio a chi non è più. Le più antiche tradizioni e religioni ci restituiscono immagini di un Oltretomba verde e rigoglioso: dai Campi Elisi al Giardino dell’Eden, fino a quello delle Esperidi, il luogo del trapasso è sempre uno spazio di bellezza e quiete, un giardino eterno che ci attende e ci appartiene, memoria viva delle nostre più profonde radici.


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